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Ripartire dal Paese che ci sta di fronte

Il degrado di Roma, la città antica più bella e importante del mondo, sede del Papato cattolico, Capitale della Repubblica non è solo un problema di cattiva amministrazione. Ci dice a quali livelli è scesa la qualità di una classe dirigente non soltanto politica.   Penso che dobbiamo ripartire da qui, dal Paese che ci sta di fronte. Non da noi ma dalle sue forze ben vive, che ci sono. Come possiamo  parlare ai giovani se non partiamo dal riconoscimento che siamo rimasti al di qua della grandezza dei cambiamenti?

E’ un fatto che essi hanno superato i nostri vecchi schemi mentali.

 Noi non possiamo tenere ai margini del nostro ragionare la gravità di questo sentimento che è via via cresciuto in questi anni:  paura di un  futuro e sempre più sconosciuto, timore di una  decadenza del popolo italiano: (i figli vivranno peggio  dei padri). Non abbiamo valutato fino in fondo gli effetti di degrado della cosa pubblica e della moralità civile, e il perché della sfiducia crescente. Questo è il punto da chiarire. Cerchiamo di capire. Era la crisi di un “modello” di sviluppo e di società, e cioè  di un peculiare rapporto tra dirigenti e diretti, tra capitale e lavoro e tra Nord e Sud: nella sostanza un “blocco sociale” che si reggeva su una relazione malata tra produzione e rendite speculative, con conseguente caduta della produttività del sistema e crescita del debito. E tutto questo si intrecciava e si sommava con la crisi di una struttura statale sempre più disarticolata in corporazioni, e quindi con  una questione morale tanto più profonda perché alimentata dal fatto che la corruzione era a sua volta causa ed effetto della non certezza della legge e della non uguaglianza dei diritti e dei doveri.

Il tutto all’interno di vincoli europei sempre meno sostenibili. I quali  non possono essere considerati un alibi,  per nascondere sotto il tappeto la peculiare questione italiana. E quindi: quali sono i cambiamenti necessari. La grande innovazione. Il risultato è stato quello che vediamo: lavoro precario e scomparsa delle grandi imprese. Un paese che resta ricco  ma non produce più come sempre aveva fatto nel passato.

Tutto è perduto? Non credo. Anche se siamo  andati alla caccia in tutti questi anni di improbabili riforme di una Costituzione magnifica che era meglio non toccare.  Vedo venire avanti una “nuova umanità”, e credo che il messaggio  del Papa non sia solo religioso ma segnali proprio l’uscita dal silenzio di  nuove masse  umane. Una società che da  un lato è più frammentata e spoliticizzata, dall’altro è molto più colta e informata di prima. E’ più cosmopolita ed è molto più sensibile a problemi come l’etica pubblica. Che disprezza i partiti ma produce associazionismo e  solidarietà,  che esprime il bisogno fortissimo di riconoscimento di “meriti” oltre che di “bisogni”.

Penso che il grande tema: che è l’uguaglianza non si misura più solo con i redditi. E poi, la paurosa frattura  anche culturale con i giovani.

 Il lavoro da fare è enorme, le difficoltà  grandissime ma è la sola via feconda. Anche perché in ciò sta la prova della coincidenza tra il rilancio dello sviluppo pena una stagnazione secolare e una combinazione diversa del blocco sociale.

Mara Paella

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