Arte e Cultura

INTERVISTA AI TRE GALLERISTI DI CULTRISE

INTERVISTA AI TRE GALLERISTI DI CULTRISE:


a cura di Giulia Mastropietro.

Ci troviamo oggi  con  Cecilia Caporlingua, Marco Bassan e Antonio Maria Napoli, i tre giovani galleristi dello spazio “The Popping Club” –  Via Baccina 84 – Roma,  che si occupano di giovani artisti emergenti.

 

Come sei diventato gallerista e qual è stato il tuo primo approccio con l’arte?

Cecilia: Ho sempre dipinto e disegnato. Sono andata a Londra alla City&Guilds Art School ma poi ho lasciato. Due anni fa ho avuto problemi di salute e da quel momento ho iniziato a dipingere di nuovo e a riavvicinarmi all’arte, così ho fondato  l’associazione Cultrise.
Antonio Maria:  Sono molto legato al metodo baconiano dei quattro “idola”, tra cui uno di questi è l’idola “fori” che sostiene l’impossibilità di non essere contagiato da ciò che ci circonda. E’ proprio la caoticità e la bellezza di Roma che mi ha travolto inevitabilmente.

Quando e come è nata l’associazione Cultrise e qual è il vostro obiettivo?

L’associazione è nata a luglio del 2014, con l’obbiettivo di promuovere giovani talenti, artisti e menti creative, attivi in diversi settori dell’arte e della cultura. Cultrise, inoltre, offre servizi per la creazione, gestione e produzione di progetti e contenuti in ambito artistico culturali per aziende e istituzioni, pubbliche e private.  La particolarità di Cultrise è che è un ecosistema alla cui base vi è la stessa passione.

L’arte può salvare?

Si, aiuta tanto. L’arte aiuta a superare momenti difficili, ma non ti salva per sempre.  Aiuta a  ritrovare se stessi attraverso un percorso catartico.
Un’opera è come uno specchio, la si guarda e ci si guarda dentro.
L’idea di questa mostra “identità collettive” è nata proprio da questo concetto: permettere al visitatore di esplorare ed esplorarsi, attraverso tre realtà: natura, città e intelligenza artificiale.jac_76471

Qual è il processo che porta ad un artista a esporre nel vostro spazio?

La scelta nasce da una sinergia spontanea che si crea tra noi e gli artisti.
Più che l’opera in sé, scegliamo la Persona.

Qual è la funzione di un’opera?

L’opera in sé è uno specchio, nel quale ci si può guardare dentro e ritrovarsi, facendo emergere ciò che era sommerso.

Aprite il vostro spazio agli artisti non solo per esporre ma anche per creare?

Abbiamo vari spazi:  l’ufficio-galleria e un loft- atelier. Ci prendiamo cura dei nostri artisti perché anche alcuni di noi lo sono.
Si crea uno scambio di idee incredibile. Cultrise è un sistema collaborativo, è  come una barriera corallina.

Ora parliamo del nuovo progetto “Identità Collettive”:

La mostra è un percorso unico, un’esplorazione dei luoghi, fisici e immateriali.
Natura, Città e Intelligenza artificiale sono tre realtà influenzate dall’uomo e che pervadono la nostra esistenza in un rapporto circolare. E’ da qui che prende vita l’idea di  rovesciare la concezione dello spettatore,  non più inteso come destinatario assuefatto dell’arte ma parte egli stesso dell’ecosistema, esploratore diretto al fine di riflettere su ciò che ci circonda costantemente.

Come e quando è nata la tua vocazione artistica?

Cecilia: Ce l’ho sempre avuta dentro.  Personalmente quando mi trovo in un momento difficile tendo a rimuovere e con ciò ad allontanare anche la mia vena artistica, ma ovviamente riaffiora sempre con varie sfaccettature, è troppo forte e insita in me.
Marco: La mia vena artistica è emersa dopo essermi laureato in ingegneria.  Ho avuto la fortuna di poter lavorare in uno studio di architettura a Zurigo, come concept designer e lì ho imparato la tecnica che è fondamentale. Per me l’arte è un mezzo per conversare con lo spettatore. La mia vocazione è nata quando ho capito che alcune idee e stimoli personali, potevano diventare universali.

La tua ricerca artistica a cosa è finalizzata?

Cecilia: Ho sempre dipinto per me stessa. Non ho mai esposto le mie opere in altri spazi, ma solo all’interno di Cultrise,che mi ha dato la forza di farlo.  Per me la ricerca artistica è un puro sfogo, è  soltanto mia.
Marco:  La mia ricerca artistica è orientala a rendere visibile l’invisibile. Far emergere il sommerso non solo per me stesso ma anche per gli altri. La mia opera“Digital Unconscious” è fruibile su due livelli di lettura: se da una parte viene esplorato intellettualmente un potenziale futuro in cui le macchine avranno il dono della creatività e del caos, la seconda chiave di lettura è più esperienziale per il visitatore. Egli si trova catapultato in un’atmosfera in cui i simboli come lo specchio d’acqua, il pozzo con la sua  forma circolare e la musica ancestrale, lo aiutano ad aprirsi e ad immergersi nei simboli proiettati nel pozzo. Da qui nasce una conversazione inconsapevole in cui il nostro inconscio dialoga con le immagini archetipiche. Questo incontro ha suscitato in ogni visitatore emozioni diverse, chi ne è stato sollevato e  chi ne è stato angosciato. L’arte è uno strumento per avviare un dialogo interiore ed in questo il mio ruolo è solamente quello di abilitatore. Non do né giudizi sul futuro utopico o distopico che sia, comando il filo di questa conversazione.

Quali artisti  vi hanno influenzato?

Cecilia: Amo dipingere di getto.  Mi persuade tutto ciò che mi circonda.
Marco: Mi ha sempre affascinato l’atmosfera, la luce e l’impatto visivo.
Se dovessi pensare a due capisaldi direi Olafur Eliasson e James Turrell.

Progetti futuri?

Ci saranno molte sorprese in arrivo!

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