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Incontro con Nicola Rigato

Incontro con Nicola Rigato, socio Finas, compositore, laureato in musica da camera e diplomato presso il Conservatorio “F. Venezze” in pianoforte.

 

Ciao Nicola, com’è nata la tua passione per la musica?

Ho iniziato a studiare pianoforte a 7 anni. Mi piaceva, certo, ma è stato solo dopo un lungo tempo di studio che ho capito che la musica sarebbe stata alla base della mia vita. Più mi applicavo più scoprivo quanto profondamente la musica potesse migliorarmi non solo come musicista ma come persona, e più riuscivo ad appropriarmi delle leggi che governano i suoni accostandoli gli uni agli altri più mi sembrava di scendere in profondità dentro me stesso.Così ho allargato il ventaglio passando alla musica da camera, alla composizione, all’improvvisazione jazz e non, fino addirittura alle percussioni africane ed indiane. Quindi da un lato direi che la mia passione è nella possibilità di imparare da ogni cosa traslando tra molti campi diversi, dall’altro direi che la mia passione è invece di confrontarmi con i grandi uomini che ci hanno preceduti, quegli uomini che con la loro arte hanno cavalcato e infine scavalcato il loro tempo, traboccando da un sistema culturale all’altro, creando nuovi paradigmi ma, soprattutto, raccontando. Ecco perché la musica, specialmente quella che normalmente viene orrendamente definita “colta”, o erroneamente “classica”, è un patrimonio indicibile, in grado di raccontarci di noi così da vicino da far paura. Ci parla di emozioni che abbiamo incontrato senza neppure saper dare loro un nome, ci parla della storia che ci ha preceduti, delle varie forme che il “bello” ha assunto attraverso il progresso umano. Ma soprattutto ci parla di un qualcosa di inalienabilmente umano, di ciò che ci permette di dire “uomo” un uomo: l’inarrestabile spinta verso il continuo miglioramento, verso il superamento di ogni limite espressivo oltre i confini del linguaggio e della bellezza.

Attualmente attraverso cosa esprimi questa ricerca?

“IANUA” è la mia associazione, composta di artisti di ogni provenienza (pittori, scultori, poeti, compositori…) riuniti per lavorare sistematicamente assieme attraverso lo studio attento delle grandi opere, lo studio della contemporaneità nell’idea del reintegro del passato in un nuovo futuro, e la produzione di eventi sincretici ed innovativi, nati appunto dall’incontro-interazione tra le varie arti-artisti. Oltre a questo sto portando in giro un ciclo di lezioni-concerto attraverso cui posso raccontare, spiegare, descrivere ed interpretare i brani cardine di ogni periodo storico, con particolare interesse al confronto tra la modernità, le avanguardie, ed il tardo romanticismo. Riconosco la mia fortuna soprattutto nell’incontrare persone meravigliose, con molta voglia di sognare; è così che si sono venuti a creare progetti internazionali come ad esempio FUNDUS, di cui sono responsabile, che opera per portare nuova musica contemporanea nei maggiori musei italiani, e molto altro. Aggiungo inoltre che l’attività di insegnante di pianoforte e di composizione/improvvisazione/song writing mi permette di passare tutto quello che riesco a scoprire ai miei allievi, e questo è un passaggio fondamentale. È un modo che amo molto di continuare la mia ricerca attraverso l’insegnamento e la condivisione con i miei allievi di quella sfida comune e continua che è l’apprendimento.

In ambito musicale l’Italia è una punta di eccellenza per la formazione, gli studenti nei conservatori sono più di 49000, come credi di sia possibile valorizzare i percorsi formativi?

Credo anzitutto sia sempre più il momento di iniziare a modernizzare il concetto di “disciplina”, altamente fuggito da molti giovani oggi perché associato ad un’idea di rigidità. Il grosso gap è che spesso la scuola si viene ad identificare “autorità”, ossia qualcosa a cui contrapporsi, specialmente nell’adolescenza in cui il processo della crescita prevede l’affermazione di se stessi all’interno del contesto sociale e spesso in lotta con esso. Credo che, sebbene il sistema scolastico possa presentare significative mancanze di cui la “buona scuola” nei suoi odietrni avanzamenti sta evidenziando la pericolosità, non si possa togliere dai giovani la prima assoluta responsabilità per il loro futuro. L’ottica dei nuovi giovani è e deve essere rivolta alla piena realizzazione di sè, alla piena gestione delle proprie intime passioni, e questo deve a mio avviso passare attraverso un reintegro della disciplina, ossia non all’opposizione brutale a tutto ciò che è imposto, ma all’incontro maturo con ciò che è proposto, in un ottica di continuo apprendimento. Questo in generale; nello specifico della musica, invece, sottolineo che, dei molti studenti che iniziano un percorso al conservatorio, una grossissima percentuale rinuncia a metà percorso o, una volta terminati gli studi, si dedica ad altro. Si può facilmente evitare questa dolorosa rinuncia preoccupandosi nel tempo giusto del proprio futuro, formandosi da subito una propria visione sulla musica, un personale modo per fruirla e condividerla in maniera nuova.

La scuola come può avvicinare i giovani alla musica?

Non so, in tutta sincerità, se e come possa essere la scuola ad avvicinare i giovani alla musica. Per me la musica è qualcosa di così intimo e profondo da poter, con buona facilità, essere frantumato dall’approccio errato di un docente non sufficientemente preparato o sprovvisto di un metodo adatto. Credo contemporaneamente che la passione di un docente innamorato sappia senz’altro avvicinare uno studente alla fiamma viva della conoscenza. In questo senso sono i docenti ad avere ogni responsabilità a non adagiarsi mai dietro la cattedra, a non spegnere mai il fuoco della ricerca dietro la comodità di un ruolo, ma mantenendo viva la loro personale ricerca stimolare gli allievi, ognuno a suo modo, a scoprire la bellezza dell’imparare, imparando innanzitutto a credere in loro stessi sviluppando le loro capacità. Certo occorrerebbero strutture più leggere che consentano ai giovani un approccio alla musica che fornisca loro almeno gli elementi di base. Ho l’onore di essere socio fondatore di una scuola che reputo davvero all’avanguardia in Italia, la scuola FOUR, di Modena, ideata da Laura Polato ed ispirata alla Pedagogia per il Terzo Millennio di Patrizio Paoletti. Questa scuola, che sta allargando a macchia d’olio il suo raggio attraverso la scuola pilota a Milano ed altre scuole in veneto che hanno sposato il metodo (tramite un testo didattico rivolto ai docenti delle primarie) propone un approccio tridimensionale alla musica, attraverso lo studio parallelo di tutti i suoi parametri (suono, ritmo, melodia, armonia) messi in relazione ai “cervelli” (rettile, limbico, corticale) secondo una pedagogia corroborata di studi neuroscientifici. Realtà innovative come questa possono davvero fare la differenza e me lo auguro fortemente.

Vuoi parlarci un po’ della tua musica?

Parlare di musica è un po’ come descrivere un profumo a parole: per quanto bene le si disponga non profumeranno mai. Provando a descrivere a grandi linee direi che generale un elemento cardine della mia poetica è il recupero del passato ed il reintegro con il presente. Mi piacerebbe insomma poter dire di essere ancora tra quei dinosauri che compone musica classica, se questo termine non fosse reduce derelitto di infinite inutili battaglie. Altro elemento fondamentale: sono molto amante della letteratura e della filosofia, così, se proprio qualcosa sulla mia musica devo dire, direi che ogni nota che scrivo sul foglio si gioca sul confine tra filosofia e musica, scivola sulla carta solo dopo un grande volo interiore, a volte libero e rapido, a volte sofferto e mille volte messo in discussione. L’idea diviene suono solo da ultimo, quasi avendo malinconia del mondo infinito delle possibilità in cui poteva volteggiare in perpetuo mutamento. Così molto spesso la mia musica parla del suo limite. Diviene suono, sì, ma facendosi udibile (ossia sensibile, immanente) contempla la superiorità dell’inudibile, dell’idea (ossia trascendente) prima che si delineasse in forma contingente. È una musica, potremmo dire, che riflette su se stessa, mentre io rifletto su di me ed il mondo riflette se stesso. Come temevo, tutto diventa un tantino filosofico, allora proporrei l’ascolto di un mio lavoro, che forse permette di annusare davvero il profumo senza doverne per forza parlare da lontano.
Ianua Caelis: canone per sette violini, dunque forma antica, ma rivestita di sonorità, linee ed armonie moderne. Il brano, eseguito qui da Davide Rigato, è scritto in ricordo del mio primo maestro di pianoforte, Paolo Ballarin, scomparso poco dopo il mio diploma. Volevo condurmi gradino per gradino verso il cielo, come ad accompagnare il mio maestro, cantando quello che mi ha lasciato, ossia proprio la possibilità di cantare, cosa di più bello può lasciare un maestro? Così ogni violino che subentra si unisce alla processione ascensionale, fino a portarci alla “ianua caeli”, la porta dei cieli.
“Nicola, quando suoni devi cantare con tutto il corpo”, così mi diceva il maestro.

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Ascolta Nicola (consigliato in cuffia):

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